di Francesco Terzago
Sembra che le spalle siano
tirate verso l’alto e che il petto si distenda
e che dentro si possa trovare spazio
per tutto quanto, per la serenità.
Che la schiena salga su
dritta – che, per un momento,
il dolore, lo sfinimento, la mancanza
lascino la pelle – le colline
si sono chiuse su di noi, questo è vero,
si sono chiuse su questo treno
e rasentano i compartimenti e così
se ne distinguono anche i particolari
più piccoli; guardarle fa bene. Gli alberi sono
dei confetti matrimoniali – non
del mio matrimonio, perché non
ne ho uno. Fanno dei capannelli,
capannelli di alberi ma non si può
chiamarli bosco, divisi come sono
dalle strade, dal tracciato della seggiovia,
dai pascoli dove si sono sparpagliate
le rose canine. In questo maggio
il frastuono dei petali – comunque pallidi –
estenua le ramaglie che hanno
superato, intatte, con fatica,
con pazienza, con orgoglio, l’inverno.
L’inverno è stato tra i più rigidi
che io ricordi per quanto attendere
la neve non sia servito a nulla,
non nevica con quel freddo.
Ed è riconoscenza, ho impiegato un po’
per capirlo, ciò che mi fa
sentire bene, che mi dà
questo formicolio alla radice
dei capelli, forse un’euforia da canaglie.
Anche l’aria ha cambiato le sue forme
invisibili e così è stato per la sfera celeste.
Le persone, anche quelle, sono
altre persone, le case altre case, le
linee elettriche, le scie volatili, gli aerei
intercontinentali, e io, la diversità che è
in me? Ed è l’effetto che questi paesaggi
hanno sulla persona, questo
è un paesaggio dai fiori che uccidono,
che si uccidono. E che, uccidendosi,
rinnovano la vita – nutrono. I muri di cinta
traboccano di fiori, in estate numerosi frutti.
Le fronde sono incontenibili, sono un banco
di piccoli pesci. In questo pomeriggio
si cancellano le ombre, la statura delle figure
non ha più importanza. C’è ostinazione e speranza
nella luce omogenea che, attinta, sale dal pozzo
dove si muove la terra e noi con essa.
Francesco Terzago è nato a Verbania nel 1986, ha studiato Linguaggi e tecniche di scrittura a Padova. Collabora, o ha collaborato, con collettivi, siti internet e riviste quali: AbsolutePoetry, Poesia2.0, Scrittori Precari, Mitilanti. Fa parte della redazione di «In Pensiero», e di «Argo», con cui ha curato L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti in dialetto e in altre lingue minoritarie (1950-2013) e per il quale è art-director della collana “Argo, annuario di poesia”. Ha pubblicato il saggio Poesia di strada e Street Art nella società globale e della pubblicità. L’esempio italiano di Ivan Tresoldi e del gruppo H5N1 con «Bollettino ‘900» e The spread of Street Art in the South of China con «Planum, the journal of urbanism»; per «Riders» ha pubblicato un reportage sulla cultura motociclistica nel sud della Cina. Francesco è membro del Comitato di Ricerca Inopinatum sulla creatività urbana della Sapienza – Università di Roma. Sue poesie sono presenti in: «Italian Poetry Review», «ClanDestino», «Le Voci della Luna», «Nuovi Argomenti» e «ALI»; e nelle antologie La generazione entrante di Ladolfi Editore e Poeti della lontananza di Marco Saya Edizioni. È sua la fotografia che accompagna la poesia.