Tre “malintesi” su guerra civile ucraina e conflitto russo-ucraino

di Andrea Muni

Prosegue con questo nuovo trittico l’approfondimento su guerra civile ucraina e conflitto russo-ucraino, iniziato in due puntate uscite tra ottobre e novembre 2022 (qui la prima parte e qui la seconda) [Ndr]

Una premessa

Due date. Oltre dieci anni fa (20 febbraio 2014) iniziava la guerra civile “aperta” in Ucraina, esplosa in seguito al golpe/rivolta di Maidan, la rimozione del presidente oligarca filo-russo Janukovich e la presa del potere centrale da parte dell’oligarchia filo-occidentale. Da quella data, le due principali fazioni del Paese e le rispettive oligarchie – filo-occidentale e filo-russa – non hanno mai cessato di affrontarsi in armi nella parte più orientale del Paese (Dontetsk e Luhansk), ovvero la parte di Ucraina da subito rimasta (insieme alla Crimea) in mano agli autonomisti/separatisti. In questo scenario, ancora aperto, oltre due anni fa (24 febbraio 2022) iniziava l’invasione russa dell’Ucraina in supporto dei cittadini ucraini autonomisti/separatisti. I morti civili di questi due anni di guerra sono, secondo l’Onu, più di diecimila. Numeri spaventosi eppure ancora lontani, per fortuna, da quelli del genocidio di Gaza (36.000 morti in otto mesi), che in parte si spiegano con la scelta dei russi di non assediare in modo frontale le grandi città russofone di Kharkov e di Odessa.

Alle vittime del conflitto russo-ucraino e della guerra civile vanno ad aggiungersi i milioni di vite spezzate di profughi, feriti, traumatizzati, reduci, molti dei quali – come le vittime stesse – sono anche cittadini ucraini russi (etnia), russofoni (lingua) e/o filo-russi (orientamento geopolitico); persone uccise, ferite e/o costrette a emigrare anche dai nazionalisti ucraini e dagli armamenti Nato, con cui vengono bombardati non solo i civili delle città filorusse di Donetsk e Luhansk, ma anche le città russe di confine (solo a Belgorod nell’ultima settimana sono stati quasi trenta i civili uccisi dalle bombe Nato e ucraine). La Russia è il primo Paese per numero di cittadini ucraini profughi accolti dall’inizio della guerra, seguita a ruota da Germania e Polonia: un milione e duecentomila cittadini ucraini, a luglio 2023, erano già riparati in Russia (fonte tedesca), mentre fonti russe sostengono che dal 2014 siano almeno cinque milioni i cittadini ucraini emigrati verso la Federazione Russa. Nonostante molto si sia detto in Occidente sulla presunta “deportazione” di queste persone, basta conoscere un po’ la storia di quei luoghi per sapere che un cittadino ucraino di etnia russa o russofono dell’est dell’Ucraina può facilmente preferire trasferirsi in Russia invece che in Germania o in Polonia (per banali ragioni parentali, di prossimità geografica e/o di maggiore affinità etno-linguistico-culturale).

La Russia non fornisce dati sui propri caduti in guerra, che sono stimati da fonti britanniche in 350.000 (tra morti e feriti). I militari dell’esercito ucraino che hanno già perso la vita si approssimano, secondo fonti americane vicine al Nyt, alle 100.000 unità (l’unica certezza è che non sono i 30.000 recentemente dichiarati da Zelenskji); per i russi le perdite dell’esercito ucraino ammontano invece a più di 444.000. Parliamo di caduti e feriti tra cui si contano anche cittadini ucraini russi e russofoni, in alcuni casi costretti a combattere contro la propria volontà tra le fila dell’esercito ucraino.

I cittadini ucraini maschi tra i venti e i sessantacinque anni, specie nell’est e nel sud, sono ormai presi, addestrati in poche di settimane e mandati al fronte in un regime di coscrizione totale, recentemente implementato, che diviene di giorno in giorno sempre più violento e asfissiante. Anche scontando qualche fake della propaganda filo-russa, sono fin troppi i video agghiaccianti – confermati da testate tutt’altro che “putiniane”, come Avvenire – che mostrano giovani braccati come animali dai “reclutatori” per la strada, negli autobus, fuori dai supermercati, sbattuti in camionette e spediti, dopo qualche settimana di training, su una linea fronte da cui non torneranno più. Non stupisce che le diserzioni e le fughe dal Paese dei cittadini in età di arruolamento coatto siano all’ordine del giorno. In un recente servizio un’inviata di Rai News dal fronte ha raccontato con accenti inquietantemente positivi che lo Stato Maggiore ucraino, grazie alle nuove regole sulla coscrizione, prevede che sarà possibile inviare al fronte in poche settimane centinaia di migliaia di persone senza pregressa esperienza militare (ovviamente, dopo agile training di un paio di settimane – sic!). La situazione al fronte per l’esercito ucraino è sempre più disastrosa, specie dopo la recente apertura di un ulteriore fronte a nord di Kharkov, e non sarà di certo il rinnovato invio di armi o munizioni Usa a cambiare le cose: mancano i soldati, il fondo del barile è stato raschiato e l’esercito dilapidato in modo veramente poco avveduto durante l’improbabile e deleteria controffensiva dell’anno scorso. L’unica possibilità per riportare la situazione almeno in parità, come sostiene Macron nei suoi recenti deliri, è che la Nato intervenga massicciamente e finalmente a volto scoperto boots on the ground – ovvero la Terza guerra mondiale.

Può essere utile ricordare, per chiarezza e di certo non per putinismo, che in Russia la mobilitazione invece è (e resta) parziale, complici la maggiore popolazione, i mercenari Wagner vergognosamente impiegati fino all’anno scorso come carne da cannone di serie B e a basso costo (ora sostituiti da nuove “fortunate” varianti di arruolamento volontario retribuito), ma soprattutto in virtù di un esercito professionale amplissimo. L’esercito russo è il quarto al mondo, ancora prima della guerra era composto da 1.300.000 soldati attivi e da un ulteriore milione di personale tecnico non militare. Nel 2022 la mobilitazione parziale russa ha coscritto 300.000 riservisti (l’1 per cento del bacino potenziale totale), richiamando ex-personale militare professionista ed escludendo categoricamente dal fronte le reclute in periodo di leva obbligatoria. Le frequenti notizie che balenano sui nostri media riguardanti l’invio al fronte di reclute russe ancora in servizio militare non sono soltanto false, ma sono soprattutto prive di senso da un punto di vista strategico: è l’Ucraina – non la Russia – a essere in questo momento tragicamente a corto di personale militare preparato e con esperienza.

Tre minacce: il nuovo nazionalismo russo, quello ucraino… e il delirio imperialista dell’Occidente

La guerra civile ucraina e il conflitto russo-ucraino sono tragiche conseguenze dell’esasperazione di una rivalità “nazionalista” quasi impensabile per i cittadini (post)sovietici dell’Ucraina e della Russia di soli trenta o quarant’anni fa. Due guerre sovrapposte, concentriche, reciprocamente figlie del nuovo nazionalismo russo post-sovietico e del nazionalismo ucraino del nord-ovest. Due guerre la cui causa ultima comune è però il delirante e incontrollato espansionismo Nato degli ultimi decenni. Superati i dieci anni di guerra civile, e i due anni di conflitto, il dolore è forse maturo per provare a mettere un po’ di ordine nelle troppe falle di una narrazione dominante che ormai fa acqua da tutte le parti – ovviamente nel profondo rispetto del dramma umano e familiare (di cui ho condiviso personalmente un lembo) di tutti coloro che hanno perso i loro cari, o sono in pena per la loro sorte, indipendentemente da quale parte di questo assurdo conflitto fratricida siano venuti a trovarsi.

La narrazione che si è diffusa in Occidente riguardo alla guerra civile e al conflitto russo-ucraino non fa il gioco dei cittadini ucraini: né di quelli dell’est e del sud, né di quelli del nord-ovest. Non fa il gioco della gente comune, dei poveri cristi di entrambe le parti, dei civili inermi della zona del fronte (a cui interessa salvare la propria vita, quella dei propri affetti e le proprie case, ben più di quanto non gli interessi sapere sotto a che Paese finiranno al termine del conflitto); non fa il gioco dei bambini, degli anziani, della carne da cannone mandata a crepare senza senso da entrambi i lati della barricata. Le narrazioni guerrafondaie dominanti, di qualunque colore esse siano, mirano soltanto a far proseguire una guerra i cui veri vincitori sono – e saranno sempre più – soltanto gli oligarchi, i venditori di morte delle fabbriche di armi e gli speculatori finanziari. Una guerra che, sul campo, non può che portare in tempi più o meno lunghi o alla vittoria russa, o alla Terza guerra mondiale.

Questa doppia guerra è la tragedia silenziosa dei cittadini ucraini, che nell’est e nel sud del Paese sono ad ampia minoranza etnica russa, ad amplissima maggioranza russofona e in certe occasioni di orientamento geopolitico filo-russo – e non per questo ancora necessariamente putiniani o favorevoli all’annessione russa del Donbass. L’eredità sovietica ucraina è molto sentita in Donbass (e nelle città russofone), come nel nord-ovest è invece dominante quella nazionalista ucraina ucrainofona. Nei primi anni della guerra civile a Kharkov uno dei principali scontri tra fazioni è esploso intorno alla demolizione/difesa di una statua di Lenin, mentre a Kiev i nazionalisti ucraini hanno distrutto la statua dell’amicizia tra popolo russo e ucraino, “colpevole” di essere sovietica, e a Chernihiv hanno addirittura abbattuto nel cortile di una scuola la statua dell’eroina di guerra anti-fascista Zoya Kosmodemyanskaja, responsabile di essere (oltre che russa) un simbolo trans-nazionale per tutti i popoli (ex)sovietici che hanno combattuto il nazi-fascismo storico. Zoya nel 1941 fu orrendamente torturata e uccisa dai nazisti alle porte di Mosca, a soli diciannove anni, per aver condotto un’azione di sabotaggio contro la Wehrmacht. Un’occasione per ricordarci che se non fosse stato per l’Urss, con buona pace di Benigni e di Ursula Von der Leyen, che sognano Auschwitz liberata dagli americani, il nazi-fascismo sarebbe rimasto chissà per quanto padrone in tutta Europa. Un’occasione per ricordare anche come proprio molti ucraini al tempo, tutti tranne i collaborazionisti ucraini del nord-ovest dell’Upa (ora idoli di certo nazionalismo ucraino), combatterono fieramente contro il nazismo e contro Hitler nelle file dell’esercito sovietico. Tutto questo mentre noi italiani eravamo dal lato sbagliato della storia e l’intera Europa continentale, occidentale e centrale, annaspava in un diffuso quanto vergognoso collaborazionismo.

Ancora un po’ di storia

Tra il 1940 e il 1942 infatti tutta l’Europa continentale, centrale e occidentale, diviene rapidamente nazi-fascista o (semi)collaborazionista. Un fatto storico scomodo, impossibile da realizzare (e da spiegare) senza il ricorso a un ampio collaborazionismo in tutti i Paesi invasi dal Terzo Reich, suoi alleati ufficiali o de facto, o presunti “neutrali”. Una spiacevole realtà storica che l’Europa continentale cerca da sempre di rimuovere. Quando ci battiamo il petto per i famosi carri armati sovietici a Budapest del ’56, come per la povera Ilaria Salis oggi, dovremmo ricordarci che l’Ungheria, per esempio, fu alleato dell’Asse nazi-fascista fino praticamente alla fine della WWII. Era forse lecito avere qualche dubbio sulla subitanea ritrovata “democraticità” degli ungheresi a soli dieci anni dalla fine della loro scellerata alleanza con il Terzo Reich; un po’ come è lecito – per quanto riguarda l’Italia – dubitare che, Repubblichini a parte, tutti gli italiani siano davvero divenuti di colpo sinceri antifascisti e democratici nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943. Lo stesso discorso vale per i molti (semi)collaborazionismi e i nazional-fascismi di quel periodo: spagnolo, portoghese, norvegese, finlandese, danese, baltico, slovacco, rumeno, croato, greco, bulgaro, francese di Vichy, oltre che per le milizie e le squadracce nazi-fasciste nei territori controllati direttamente dal Reich, come quelle ceche, polacche e ucraine. Squadracce che gli ex-premier polacco e ucraino hanno equiparato negli scorsi anni – nel colpevole silenzio europeo – ai combattenti che lottarono contro il nazi-fascismo. Quando ci chiediamo le cause e l’origine dell’attuale rigurgito fascio-nazionalista che tormenta l’Europa ormai da oltre un decennio, potremmo provare a seguirne le tracce nella storia dei nazional-fascismi e dei (semi)collaborazionismi storici del Novecento, oltre che in quella più recente – e sintomatica – della loro rimozione. Andare a fondo di questa rimozione potrebbe infatti svelarci la segreta connivenza, o per lo meno la decisa “preferenza” rispetto al comunismo, che i poteri capitalisti e la borghesia nazionalista pseudo-liberale del tempo manifestarono (almeno inizialmente) nei confronti del nazi-fascismo storico. D’altronde in Italia fu Giolitti a far entrare Mussolini in Parlamento nelle liste del “suo” Blocco Nazionale, e poco dopo fu il re a offrirgli il primo incarico di governo a seguito della Marcia su Roma; come in Germania, dieci anni dopo, fu Hindenburg a mettere il Paese nelle mani di Hitler. Allo stesso modo vediamo oggi l’Ue scivolare rapidamente dallo pseudo-progressismo neoliberale degli scorsi decenni verso un dilagante liberal-conservatorismo di destra che, a propria volta, già flirta ormai pubblicamente coi nuovi fascismi.

Tre puntate

I malintesi e le bugie, per tacere delle lacune storiche e geopolitiche, divenute in un batter d’occhio solide realtà nel ripetersi della propaganda guerrafondaia, sono ormai così evidenti, sovrabbondanti e quotidiani che per debunkarli tutti ci vorrebbe un libro in tre volumi. Nel corso di questi tre “improvvisi” mi limiterò a segnalare i più clamorosi, vincendo il timore di essere accusato di putinismo (come a turno è già capitato a ben più quotati esperti di storia, di geopolitica e a importanti giornalisti come Barbero, Caracciolo e Travaglio). A destare sempre maggiore preoccupazione infatti non è tanto l’ignoranza su questi temi (fino a un certo punto inevitabile e legittima) della gente comune, quanto quella dei troppi intellettuali che da due anni soffiano sul fuoco di una guerra di cui troppo spesso sanno poco o nulla. Ma si sa, pensarsi buoni, un po’ come il pensarsi libere della Ferragni, per molti, troppi, è un sollazzo irresistibile: una delle poche soddisfazioni a buon mercato rimaste in questi tempi bui. Il problema però è sempre lo stesso, ovvero che pensarsi tali non rende automaticamente informati o eruditi, né davvero liberi, né per forza buoni.

Le tre puntate:

  1. Quanti sono ed erano i cittadini ucraini russi, russofoni e/o filo-russi in Ucraina?, Il censimento del 2001 e il concetto (post)sovietico di cittadinanza, il disastro dei nuovi nazionalismi
  2. Nessuno è “libero” in geo-politica, la differenza tra politica e geopolitica, le controproducenti ingerenze occidentali nelle lotte per i diritti nei Paesi nemici dell’Occidente, il razzismo “di ritorno” del nostro decadente imperialismo rivenduto come universalismo dei diritti, il revanscismo geopolitico dei Paesi colonizzati o sottomessi (e la loro ambizione di un mondo multipolare)
  3. Piccola storia del delirio mistico dello Stato-nazione etnico in Occidente, sua esaltazione e proiezione mondiale in chiave geo-politica durante il ‘900, il problema dell’autodeterminazione – americana e a senso unico – dei popoli, il parallelo Kossovo/Donbass

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