di Selene Basileus
L’arte dell’improvvisazione – chi ama il jazz lo sa – è impervia, rischiosa, una sfida. Ma è in grado di regalare a chi si pone in ascolto qualcosa che la lettura da spartito non potrà mai garantire: l’unione con gli stimoli dell’ambiente circostante, l’aderenza con le aspettative del pubblico e il suo sentire, l’unicità di una rappresentazione mai uguale all’altra.
Quest’anno il Trieste Science+Fiction Festival, in occasione della consegna del premio Méliès d’Or della European Fantastic Film Festivals Federation, ha ospitato un concerto del pianista e compositore Stefano Bollani. La sfida che l’artista si trovava davanti era diversa dal solito: si trattava di improvvisare l’intera colonna sonora di alcuni dei film muti che hanno segnato la storia del cinema delle origini, da “Voyage dans la Lune” (1902), “Les quat’ cents farces du diable” (1906) e “Voyage à travers l’impossible” (1904) di Georges Méliès, a “Voyage autour d’une étoile” (1906) di Gaston Velle arrivando infine a uno dei primissimi film italiani di fantascienza, “Matrimonio interplanetario” (1910) di Enrico Novelli.
Il compito era quantomai arduo, specie al cospetto di un pubblico di cinefili come quello del Science+Fiction, ma – stando agli applausi ricevuti – è più che riuscito. Il tocco personale di Bollani non si è fatto attendere: le melodie non erano mai un semplice accompagnamento, ma spesso prendevano corpo in citazioni musicali delle più disparate, dal “Notturno in Mib” di Chopin a “Lucy in the sky with diamonds” dei Beatles, tutto unito in un medley che finiva solamente con i titoli di coda del film, per ricominciare con quello successivo. Nonostante una selezione di brani tanto disparati, tutto scorreva fluidamente e non stonava affatto con le immagini cinematografiche, anzi: in più di un’occasione l’applauso del pubblico non è iniziato quando Bollani ha smesso di suonare ma qualche secondo prima, all’inizio dei titoli di coda, come se la perfetta unione di suono e immagini avesse fatto dimenticare la presenza del pianista a pochi passi dallo schermo.
“I film che accompagnerò stasera li conosco a memoria, però cercherò di dimenticarli e di lasciarmi trasportare mentre li vedo”, aveva esordito Stefano Bollani prima del concerto. Una promessa mantenuta: lo sguardo del pianista durante l’esecuzione era tutto preso dallo schermo, da cui si distoglieva solamente nei passaggi più complessi che richiedevano una maggior concentrazione.
Dopo la proiezione dei cortometraggi c’è stato ancora spazio per qualche bis all’insegna dell’umorismo: il brano, cantato in dialetto napoletano, “O’ microchip”; la cover di “Edipo e il suo complesso” del brano “with or without you” degli U2, diventata “M’è morto il gatto”. Infine un classico delle esecuzioni live di Bollani: chiedere al pubblico dieci titoli musicali di qualsiasi genere, che il pianisce unisce istantaneamente in un medley. Per rimanere in tema della serata c’è stato chi ha chiesto di suonare “Star wars”, seguito da brani dello stesso autore come “Arrivano gli alieni”, fino a qualcosa di completamente diverso come “Il pinguino innamorato” e un’esilarante imitazione di Paolo Conte.
Per chi ama Bollani e la sua musica è stato particolarmente interessante ascoltare l’artista in questa diversa esperienza creativa nelle sue improvvisazioni: al posto di partire, come generalmente si fa, da una melodia nota per procedere nel mondo della libertà espressiva e formale, Bollani si è immerso in una realtà di stimoli che dal dato visivo, e in questo caso visivo e animato, ha sviluppato una trama di suoni dalla forza e delicatezza intense.